
Giugno 2019, Expo Entertainment, o meglio, E3. Keanu Reeves sale sul palco dell’evento di Los Angeles e la folla è in delirio. “You’re breathtaking” – sei mozzafiato – gli urla un fan, e la frase diventa subito virale. Qualcuno è ancora confuso. Che sta succedendo? Niente di speciale, se non che un intero comparto, quello videoludico, ha appena sancito la sua piena trasformazione: l’attore di Hollywood è il protagonista di Cyberpunk 2077, un videogame in uscita nel 2020 e che già ha registrato incassi da record con il solo preorder.
Sul gioco si è già detto tanto, tra trailer, rumors e streamers che puntano ad elaborare teorie il più verosimili a quello che sarà il gameplay. Ma ciò che mi interessa – oltre al gioco in sé, sia chiaro – è un altro fattore: come ha fatto il cinema ad entrare così prepotentemente nel comparto videoludico, senza che nessuno se ne accorgesse?
Il primo segnale di questo cambio di rotta, quello del “videogame hollywoodiano”, in realtà è arrivato qualche mese fa. Il genio di Hideo Kojima, mini trailer dopo mini trailer, ha generato un hype – la suspense d’una volta, per intenderci – senza precedenti sul suo nuovo Death Stranding. Un videogioco innovativo, sia per grafica che per gameplay, ma anche qui il fattore interessante è un altro: il produttore si è affidato ad un cast stellare. Si parla di attori (e voci) del calibro di Norman Reedus (Daryl di The Walking Dead), Mads Mikkelsen, Lèa Seydoux, Margaret Qualley e persino Guillermo Del Toro.






Due rondini non fanno primavera, e due videogame con attori professionisti non fanno la regola. Insomma, non è detto che ora tutti i videogiochi dovranno avere obbligatoriamente un cast stellare. Vero, ma questi due esempi rappresentano un punto di rottura, una svolta. In questo caso, infatti, non si parla di videogiochi ripresi dai film, come potrebbero essere Il Signore degli Anelli, piuttosto che Batman, Spiderman, Star Wars o quant’altro, dove la presenza dell’attore di hollywood era giustificata in quanto il prodotto rappresentava una trasposizione del film nel prodotto per pc o consolle. La verità è un’altra. Questa è la prima volta in cui non uno, ma ben due dei videogame più attesi di sempre si presentano, quasi in contemporanea, con un cast d’eccezione che interpreta un ruolo scritto ad hoc proprio per quel prodotto, e non per il grande schermo.
Ma qual è il motivo di questa scelta? Perché investire capitali importanti su un attore, quando si potrebbe creare da zero un personaggio che – la storia ce lo insegna – può benissimo diventare un’icona, come hanno già fatto Solid Snake di Metal Gear Solid, o i protagonisti di ogni Final Fantasy e così via? Forse i videogiochi hanno bisogno di diventare ancora più spettacolari di quanto non lo siano già, e per farlo devono prendere qualcosa in prestito dal cinema. I divi e le star sono probabilmente l’unica cosa che finora è mancata nel comparto videoludico.
Un’ipotesi che sembra sposarsi con un altro fenomeno, attualmente in via di sviluppo: la necessità di far diventare il cinema sempre più interattivo e, quindi, un videogioco. L’esperimento di Bandersnatch (Black Mirror) ha colto nel segno, a prescindere dal fatto che la trama sia piaciuta o meno, perché ha rappresentato l’evoluzione di un fenomeno che era già iniziata con l’avvento delle smart tv e dello streaming, ma che era ancora troppo limitato.
Insomma, il videogioco sta diventando sempre più cinematografico e il cinema, in contemporanea, sempre più un videogioco. Il che va bene, finché si garantirà che ognuna delle due piattaforme mantenga una propria identità: a volte c’è solo bisogno di guardarsi un bel film, senza fare niente e senza prendere decisioni troppo impegnative.
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