È ri-scoppiata la Queen mania. Tutto grazie ad un film, Bohemian Rhapsody, diretto da Bryan Singer, che ripercorre l’intera vita dei giganti della musica dagli anni ’70 fino al concerto al Live Aid del 1985. Un film che è diventato subito campione d’incassi e che ha “regalato” un Golden Globe come miglior attore protagonista a Rami Malek per la sua interpretazione di Freddie Mercury. Ma è anche un film che ha fatto molto discutere: per i fan più sfegatati la pellicola non è al 100% fedele alla vera storia di Freddie Mercury, Brian May e soci (affermazione discutibile, visto che non è un documentario). A questo si aggiungono numerose polemiche, soprattutto da chi vede i Queen come l’irraggiungibile, come il sacro che, con questo film e la conseguente ondata di ascolti di Bohemian Rhapsody, è stato sconsacrato.

Parliamo di numeri. Dall’uscita del film nei cinema, la sola canzone Bohemian Rhapsody ha registrato un aumento degli ascolti del 300% su tutte le piattaforme, arrivando ad un totale di 1,6 miliardi di riproduzioni. E così è diventato il singolo più ascoltato in assoluto tra le canzoni composte nel XX Secolo, sempre in base ai “click” (mancano tutti gli ascolti di vinili o compact disc, ma questo è un altro discorso). Insomma, è difficile pensare che i fan di sempre abbiano iniziato ad ascoltare a ripetizione Bohemian Rhapsody su Spotify ed affini subito dopo il film, anche perché i più sfegatati sono proprio quelli che si sono lamentati della riproduzione cinematografica. Allora non c’è bisogno di farsi domande: tutti questi ascolti in più provengono da un nuovo bacino di utenti, di giovanissimi che, forse, dei Queen avevano soltanto sentito parlare dai loro genitori, senza averli mai ascoltati veramente. Si tratta di ragazzi e ragazze che non avrebbero mai potuto capire a pieno cosa significasse essere una rockstar senza vedere con i propri occhi la vita di un’icona della musica, come Freddie Mercury per esempio, perché chi è nato con lo streaming e internet, non può capire cosa sia veramente una rockstar.
Esatto, i giovani d’oggi non possono capire cos’è una rockstar e questa non è una critica. Parto da un esempio pratico: i poster in cameretta. Chi, tra i più grandi, non ha mai attaccato il poster del proprio idolo in cameretta? E poco importa di chi si trattasse, se dei Backstreet Boys o degli Iron Maiden, per fare qualche nome a caso. L’importante era avere quel poster attaccato sul muro, che testimoniava il legame tra il fan e il proprio idolo. Un rapporto di subordinazione, dove la rockstar era un qualcosa di irraggiungibile ed intoccabile, resa tale dagli stessi fan che per una foto insieme avrebbero smosso le montagne. Oggi le rockstar non ci sono più e i poster non vengono neanche più stampati. Tra Instagram Stories e dirette su Facebook si sono accorciate le distanze, visto che gli artisti non solo si mostrano di continuo anche nella loro intimità, ma usano anche gli stessi strumenti che utilizzano i fan. Insomma, si sono “umanizzati”, sono diventati l’antitesi di una rockstar. A questo si aggiunge anche un altro fenomeno, quello della durata degli artisti, che sono troppi e che spesso spariscono alla stessa velocità con cui sono esplosi. Ed è morta anche una componente importante della musica: quella dell’intimità con cui una band, tra sudore e delusioni, si è fatta strada per raggiungere il successo. Oggi, con i talent show, possiamo seguire in diretta anche le fasi di nascita e di evoluzione di una band nasce. Insomma, mi correggo: le distanze non si sono accorciate, non esistono proprio più. Ecco, questa è la musica che vivono i giovani d’oggi, i quali non hanno mai vissuto neanche il lascito delle grandi rockstar degli anni ’70, ’80 (e un po’ anche degli anni ’90). Ora immaginiamoci tutti questi giovani che, per la prima volta, hanno “visto” la vita di Freddie Mercury in un film, per quanto questo possa essere stato infedele o sbagliato secondo i più critici. Il film non ha solo raccontato loro chi è stato e chi è ancora oggi Freddie Mercury. Il film ha raccontato loro chi e cos’era una rockstar. E lo ha ricordato anche a noi più grandi, che un po’ ce lo siamo dimenticato.

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