
Altro che musica: la 69esima edizione del Festival di Sanremo è stata ed è ancora il campo di battaglia dell’ormai interminabile guerra tra complottisti ed anticomplottisti, tra pro Salvini e antisalviniani. È stato un Sanremo atipico, quello di quest’anno, che è diventato argomento di discussione anche per chi, con molta probabilità, non lo ha visto. Il caso Mahmood, il vincitore di questa edizione, è diventato nuovamente un inno al razzismo sommerso, quello del “Non sono razzista ma…”, quello del “prima gli italiani” che ormai ha messo radici ovunque, anche nella musica. Ma è diventato anche un appiglio per chi contesta il Governo, un classico esempio di “strumentalizzazione” al contrario, un espediente per “far rosicare”. Insomma Mahmood è il pallone in un derby dove nessuno vince e dove le tifoserie sperano soltanto che la squadra avversaria perda. Ma, soprattutto, Mahmood è un cantante la cui canzone e la cui vittoria passano in secondo piano, perché le sue origini e la sua strumentalizzazione politica hanno preso il sopravvento.

Ma chi è Mahmood? L’artista, al secolo Alessandro Mahmoud, è nato il 12 settembre del 1992 a Milano, da madre italiana e padre egiziano, parla bene il dialetto sardo e non spiccica una parola di arabo, a quanto pare. Presupposto interessante, almeno in considerazione di quanto hanno scritto tantissimi utenti su Facebook dopo la sua vittoria: “In Egitto dovevi vincere, al Sanremo Egiziano e non in quello italiano” dice qualcuno. Oppure: “Non a (si, non ha senza “h”, scritto da una italiana, ndr.) neanche il nome italiano, come fa a vincere il Festival della Canzone Italiana, qualcuno mi può dare una spiegazione logica?”. Per tale spiegazione bastava aprire un secondo internet, che è altro oltre a Facebook, e scoprire che il ragazzo è italiano doc., ma questo è un altro discorso. Stesso discorso vale per chi ha chiesto se “Ha il permesso di soggiorno”. E questi sono solo alcuni esempi della folla inferocita che si è scatenata contro l’italiano dal cognome non italiano, senza però citare nulla riguardo la canzone. Ad anticipare questo ciclone è stato il vicepremier Matteo Salvini, il ministro più social di sempre, che aveva commentato con un pacato ma “Mahmood… mah… La canzone italiana più bella?!? Io avrei scelto Ultimo, voi che dite??”, scatenando un’ondata di commenti sul presunto “Sanremo truccato” e via vai di frasi razziste. La polemica sul vice premier sarebbe stata spenta da una telefonata dello stesso Salvini a Mahmood, con il quale si è complimentato per la vittoria per poi definirlo a La Stampa come “Un ragazzo italiano che suo malgrado è stato eletto a simbolo dell’integrazione – spiega – ma lui non si deve integrare, è nato a Milano”. Le dichiarazioni del leader della Lega non hanno però frenato gli insulti razzisti di troppi italiani, che continuano ancora oggi. E questo c’era da aspettarselo. Eppure, come già detto, c’è anche un altro tipo di razzismo, quello al contrario, di chi è a favore dell’immigrazione e strumentalizza questa vittoria per sbeffeggiare Salvini e tutti i suoi sostenitori.

“A Salvini prenderà un coccolone”, “Qualcuno al Governo rosicherà per la vittoria di Mahmood”: su questa linea viaggiano tantissimi altri post e commenti su Facebook, uguali e contrari a quelli di chi, invece, non accetta la vittoria di un cantante che non fa di cognome Rossi o simili, ma Mahmoud. Ed è qui che sorge l’altro razzismo, quello di chi è pro accoglienza, a favore dell’integrazione culturale ma, alla fine, vede nella vittoria di un giovane con un cognome non italiano un pretesto per dimostrare che c’è un’Italia ancora capace di ribellarsi ai porti chiusi. E ci potrebbe anche stare, perché ogni rivoluzione è fatta di persone che si ergono a bandiere delle lotte di classe, ideologiche e politiche. Ma non è il caso di Mahmood, che in questo ciclone, probabilmente, non ci voleva proprio stare, visto che non ha neanche commentato quanto sta accadendo. Anzi, il fatto che abbia detto (come dichiarato dal vicepremier) che è italiano e che è stato strumentalizzato gioca addirittura contro a chi lo sta “usando” come arma anti salviniana. Insomma, se veramente la vittoria di Mahmood per qualcuno è meritata, basta fargli i complimenti, scrivere che la sua canzone è una bella canzone. Invece, finora, su quella canzone non si è letto nulla, nessuno l’ha mai citata. È solo l’ennesimo derby politico tra ultimi in classifica.
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