Lo ammetto: sono social dipendente. Non di quelli che postano contenuti ogni dieci minuti, ma sicuramente faccio parte di quel bacino di utenti che consulta continuamente bacheche digitali e che deve avere Whatsapp sempre attivo. Lo faccio per lavoro, per sapere cosa scrive il politico di turno o per organizzarmi con i colleghi. O ancora per la musica. Insomma, è un rapporto di amore e odio, di necessità e sicuramente di abitudine. E visto quanto accaduto mercoledì, sembra che io non sia l’unico. Ma era scontato.
Premessa più che doverosa prima di affrontare un discorso all’apparenza banale, sul quale si discute fin troppo e dove retorica fa da padrona: senza social network o messaggistica istantanea andiamo nel panico. Qualcuno dirà: “Io no”. È vero, ma la stragrande maggioranza di noi senza social è fregata.

Se esiste almeno un giorno nero nella vita di ogni essere umano, quello di Mark Zuckerberg è stato mercoledì 13 marzo 2019. In questa data “maledetta” per il re dei social, tra le 18 e le 4 del mattino seguente, i suoi Facebook, Whatsapp, Messenger e Instagram hanno deciso di smettere di funzionare (o nel migliore dei casi di attivarsi a singhiozzo). Come sottolineato da agi.it, è la prima volta dal 2008 che i social network non avevano così tanti problemi. Peccato che allora gli utenti fossero soltanto 150 milioni, mentre oggi superano i 3 miliardi sparsi in tutto il mondo.
È quindi spettato a Twitter l’onere di essere preso d’assalto dall’enorme mole di utenti, che normalmente non frequentano questo social, per lamentarsi del black out di Facebook, Whatsapp, Instagram e Messenger. Insomma, chiari segnali di una dipendenza che nessuno ammette di avere, ma che ormai accomuna troppe persone. E in alcuni casi questa dipendenza è andata oltre la semplice lamentela: durante il Down Day, in Nuova Zelanda e in Australia – racconta Il Messaggero – gli utenti hanno addirittura chiamato la polizia in preda al panico.

Sarebbe scontato ritenere che la maggior parte degli gli utenti tagliati fuori dai social e caduti nella psicosi della disconnessione forzata siano i giovani o i giovanissimi. Niente di più sbagliato, almeno per quanto riguarda Facebook: ad andare nel panico sono stati gli adulti, o almeno gli over 25, visto che il re dei social network sembra essere ormai “superato” per la seconda generazione dei nativi digitali. A dirlo è una recente ricerca della Unicusano che, dati alla mano, mostra come i ragazzi di età compresa tra 15 e 24 anni non si siano mai avvicinati al figliol prodigo di Zuckerberg, preferendo invece piattaforme come Snapchat, Telegram e sicuramente Instagram. Facebook, invece, non è soltanto il social più utilizzato dagli over 25, ma per la maggior parte dei suoi utenti è addirittura l’unico. Quella di Facebook sembra essere la fine preannunciata di un social che non è più in grado di attirare le nuove generazioni (gli utenti tra i 13 e i 17 anni che hanno dichiarato di utilizzare Facebook è passato dal 71% del 2016 al 51% del 2018). Le motivazioni della mancanza di appeal sono almeno due: Facebook è diventata una piattaforma troppo commerciale e poco social; l’eccessiva presenza degli adulti allontana gli adolescenti, che sembrano avere addirittura il timore di incontrare o di essere controllati dai propri genitori o da amici di famiglia sul social.
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