
Ebbene sì: tra tutti gli annunci dell’E3 2018 c’è anche quello della fine della mia vita sociale. L’Electronic Entertainment Expo di quest’anno, si è davvero superato, e non riesco a capire se la cosa mi renda felice o triste. Una marea di videogiochi, e questa volta con tutti i titoli più attesi di sempre, pronti ad uscire uno dopo l’altro nello stesso anno, potrebbero minare veramente la mia socialità (se non contiamo le funzioni multiplayer, perché che in questo caso la mia vita sociale potrebbe anche beneficiarne). Ma tornando alle cose serie, quando lunedì mattina mi sono svegliato vedendo la mia bacheca di Facebook inondata di video trailer di nuovi giochi o –addirittura- di video presentazioni da mezz’ora l’uno, il cuore non ha retto. Arriva il sesto capitolo di Elder Scroll e finalmente un Fallout online (Fallout 76 per l’esattezza). E a me questo basta e avanza, visto che un gdr ben fatto può compensare ondate di titoli strabilianti ma che, passatemi il pensiero, di personalità ne hanno ben poca. Ma al di là di quanti titoli usciranno, di chi vorrà vestire i panni di Goku nel nuovo crossover della Bandai o di quanti si catapulteranno sul nuovo Cyberpunk, la domanda è una: è possibile che noi, a 30 anni, ancora ci emozioniamo per un videogioco? La risposta è sì. Anzi, forse solo noi trentenni siamo ancora capaci di emozionarci per un prodotto videoludico, visto che lo facevamo già quando i pixel usati per Final Fantasy VII o per Metal Gear Solid, prima del 2000, erano solo una manciata. Ma che ne sanno i ragazzi di oggi di cosa significa perdere tempo dietro a un videogioco che non è grafica, ma storia? Quando avere un joypad in mano significava non solo guardare una storia, ma viverla e diventarne protagonista. “Che ne sanno i 2000” di cosa significa piangere quando Aeris moriva uccisa da Sepiroth, o quando con Solid Snake dovevamo resistere assolutamente a quella fastidiosissima tortura premendo un solo pulsante a velocità disumane solo per salvare Maryl, che guai a chi ce la toccava? Che ne sanno di cosa ha significato per noi creare il primo personaggio a Baldur’s Gate, o giocare ai primissimi Elder Scroll o Fallout, che ai tempi erano anche isometrici? Con quei videogiochi ci abbiamo pianto, riso, a volte anche sofferto. E anche oggi, a 30 anni, è un po’ la stessa cosa.
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